In inglese il termine che indica il viaggio, travel, ha la stessa radice del francese travail, "lavoro", "travaglio". Viaggio come fatica, dunque, come lavoro condotto anche su di sé, perché il valore del viaggio è pur sempre un'esperienza di transito da un mondo a un altro: il viaggio è "tra". Tra la propria realtà e un altro luogo, verso il quale ci si muove oggi con viaggi fin troppo addomesticati verso paesi che già conosciamo prima di partire perché li abbiamo visti nei documentari, ne abbiamo letto sulle guide e sulle riviste di viaggio. Nulla di paragonabile alle esperienze dei viaggiatori romantici dell’Ottocento, per i quali il viaggio era avventura, era partire verso mete immaginate ma sconosciute, era muoversi su percorsi incerti, comunque non prevedibili.
Nulla di paragonabile ai viaggi in cui ci conduce Antonio Barrani, lungo fantastiche rotte in bilico fra liricità, nostalgia e sogno, sovrapposte ai tracciati nautici con il contrasto, non certo casuale, fra la rigidità tecnica del mezzo cartografico e la libertà della fantasia, del cromatismo e di una contenuta ironia. La sua opera artistica quasi ci invoglia a rileggere l’Histoire des grandes voyageurs, le pagine di Jules Verne, o di Salgari, o i bollettini della Hakluyt Society, la più grande enciclopedia sugli antichi viaggiatori.
La mostra delle opere di Barrani, ospitata nelle sale del Museo Etnografico cittadino, sottolinea la connessione con la lunga tradizione di quei viaggiatori che per tutto il secolo scorso qui hanno voluto depositare i loro ricordi di viaggio, le loro collezioni private. E di queste molteplici collezioni saranno esposti in contemporanea e simbolicamente, a rappresentare tutti gli altri, oggetti e immagini riportati in patria da Giovanni Podenzana, uno dei viaggiatori più fecondi del panorama locale fra Otto e Novecento, a cui si intitola oggi il Museo.
L’Ottocento fu, sotto molti punti di vista, l’età dei viaggi, e l’Italia divenne la meta ricercata di itinerari in parte collocabili nella tradizione del Grand Tour, in parte rispondenti a necessità differenti, legate alle trasformazioni politiche, ideologiche e culturali del “secolo delle nazionalità”; la Liguria dell’ultimo scorcio del XIX secolo vedrà però protagonisti molti suoi viaggiatori anche sulle più impegnative rotte oceaniche. Memorabile la traversata dell’oceano Atlantico sulle orme del primo viaggio di Cristoforo Colombo, del capitano Enrico Alberto d’Albertis a bordo del “Corsaro”, nel 1893, e del cugino di lui, Luigi Maria d’Albertis, che già nel 1874 aveva esplorato vaste regioni della Nuova Guinea e percorso in scialuppa, per ottocento chilometri, l’inesplorato corso del fiume Fly; ma anche di Giacomo Doria e di Arturo Issel, fino ad arrivare a due viaggiatori spezzini, il già citato Giovanni Podenzana, naturalista etnografo musicista e collezionista, e il geologo Giovanni Capellini.
Le storie ufficiali dell’esplorazione e del viaggio di età moderna e contemporanea prestano pochissima attenzione ai viaggiatori locali, fatta eccezione per il caso di Alessandro Malaspina, che si inquadra nello scenario settecentesco delle grandi esplorazioni scientifiche e politiche. Eppure il viaggio per mare connotato come intrapresa scientifica - il “viaggio utile”, come lo definisce Paul Morand - di quegli uomini che consideravano il muoversi verso terre lontane come un dovere, e che in modo ingenuo o consapevole, con i loro rilievi, disegni, scoperte, annotazioni contribuivano all’inventario del pianeta, è stato fondamentale anche per lo sviluppo della Spezia fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, quando una gran mole di oggetti appartenenti a luoghi e civiltà diverse trovarono approdo fra le mura del suo museo civico, consolidando la vocazione di una città legata fortemente al mare.
Luogo di convergenza fra arte e rappresentazione del mondo, le “rotte fantastiche” di Antonio Barrani incrociano qui le “rotte vere” di Giovanni Podenzana verso l’altrove, rotte che l’etnografo spezzino ripercorrerà a ritroso, verso casa, a undici anni di distanza dal primo avventuroso viaggio per mare con destinazione Australia e Tasmania iniziato nel 1891, a cui poi seguiranno altre mete: Nuova Zelanda, Nuova Guinea, Isole Fiji, Stati Uniti, Giappone.
Contrappunto reale alle rappresentazioni pittoriche del mare e dei piroscafi di Barrani, colorata metafora di itinerari dello spirito, il racconto di un altro piroscafo, il Brunswich, in navigazione verso le Terre Australi in un lontano agosto, ci riporta le atmosfere che Giovanni Podenzana, assieme a un altro sognatore, l’amico Giovanni Schiffini, vissero nel loro viaggio giovanile: musica da ballo e luci, belle donne e ufficiali; tre uomini sono seduti intorno a un tavolo e discorrono amabilmente. Da oriente spira, a tratti, una brezza leggera, dopo il caldo torrido del giorno. Uno dei tre uomini aveva annotato, quel pomeriggio, sulle pagine del suo diario di viaggio: «non si vedono che rare nuvole, il mare è appena increspato…». I taccuini di Podenzana, almeno quelli che si sono conservati, non hanno certo l’acutezza critica dei diari di Toqueville né l’efficacia narrativa degli appunti di Stevenson nei mari del sud, ma sanno comunque mescolare i diversi punti di vista, storico, politico, geografico, paesaggistico, scientifico e antropologico sulle terre e sulle popolazioni visitate.
Podenzana, diversamente dal capitano d’Albertis, intrepido mainà zeneize, viaggiò non per celebrare storiche imprese o in cerca di pubblici riconoscimenti né - come Capellini - si dotò di lettere di presentazione e di cospicue sponsorizzazioni; egli viaggiò soprattutto per il proprio piacere e per raccogliere: collezionò moltissimo, dedicandosi, oltre che ai materiali etnografici, a tutto quanto poteva essere raccolto in luoghi esotici: insetti, molluschi, piante, animali, e crani e interi scheletri umani. Non sembri strano che lo stesso collezionista potesse dedicarsi a categorie tanto diverse di oggetti: egli era sempre mosso dall’aspirazione di completare delle serie, di raccogliere testimoni dei suoi percorsi intellettuali, oltre che spaziali, e di renderli disponibili a tutti contribuendo a formare un’immagine universale dell’uomo e della natura.
Non diverse molteplicità si trovano nelle opere di Barrani, dove si scoprono vincoli che si legano sia al mondo sia al proprio territorio. Dalle sorprendenti sovrapposizioni pittoriche alle carte nautiche che fanno da sfondo, emerge, tra visioni simboliche e suggestioni diverse, lo spirito delle Cinque Terre, alle quali Barrani appartiene (bellissimo l’essenziale trenino che sullo sfondo di una cartografia della costa trasporta borgo, e faro e chiesa), il “senso” forte di quel mare agitato sempre presente a sostenere i suoi mondi magici, la liguricità del navigare.
Se i piedi restano a terra, gli occhi guardano – come già percepiva Ettore Cozzani nel Regno Perduto della sua Vernazza – di là, lontano, ma nello stesso tempo rinsaldano quel legame affettivo e sentimentale che ha radice nella cultura espressa dai propri luoghi, suggerendoci che non c’è viaggio più bello di quello che si sogna.